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Recensione di Gabriel Knight: Sins of the Fathers

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view post Posted on 23/10/2014, 13:42     +1   -1
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Powa

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Recensione di Gabriel Knight: Sins of the Fathers
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Per chi scrive, Gabriel Knight 2: The Beast Within, con quelle splendide sequenze in Full Motion Video, quelle ambientazioni e quella trama strepitosa, è il punto più alto mai raggiunto nella carriera di Jane Jensen, nonché una delle cinque più belle avventure grafiche di sempre. Il predecessore Gabriel Knight: Sins of the Father non è però da meno e 21 anni fa, quando Sierra lo pubblicò su PC in versione floppy disk e CD-ROM, gli 8, i 9 e pure qualche 10 fioccarono meritatamente sulle riviste di videogiochi di mezzo mondo. Quando si è saputo che la Jensen avrebbe riportato in vita l’affascinate e biondissimo Gabriel per un remake di questo classico, gli appassionati del genere (ormai sempre più sparuti ma affezionatissimi) hanno accolto la notizia con un misto di gioia e trepidazione. Gioia perché il gioco del ’93 rimane una bellezza unica da vivere e da cui farsi trasportare; trepidazione perché Moebius, il recente esordio della Jensen con il suo nuovo team di sviluppo Pinkerton Road, non è stato un granché. Inoltre il motore grafico di Phoenix Online Studios utilizzato per questo remake ha già dato prova di vistosi limiti e di scarsa spettacolarità, con le animazioni di Moebius che possiamo tranquillamente considerare tra le peggiori viste ultimamente in un videogioco.

Qualche aiutino non manca
Insomma qualche timore reverenziale per questo remake, disponibile da pochi giorni su Steam a 19,99 euro, era inevitabile, ma per fortuna il risultato finale ci ha pienamente convinti. Tanto per cominciare il nuovo Gabriel Knight è lo stesso identico gioco del 1993 a livello di dialoghi, enigmi, trama e luoghi. La Jensen ha aggiunto giusto una manciata di nuovi (e inutili) puzzle di carattere “enigmistico” e bloccato alcune location disponibili fin da subito nel gioco originale, in modo da non dare troppe possibilità ai giocatori meno esperti e da indirizzarli più facilmente verso i vari obiettivi. Questa concessione al pubblico più casuale e meno avvezzo alle avventure di un tempo si vede anche in altri elementi del gioco. Durante i dialoghi gli argomenti fondamentali sono segnati in giallo, si possono evidenziare tutti gli hot spot di una location e l’interfaccia più moderna, sebbene ancora un po’ confusa, è molto più user friendly rispetto a quella ormai “arcaica” del gioco originale. Inoltre, cosa che farà piacere a molti sebbene sia escludibile dal menu delle opzioni, non manca un sistema di aiuti a step, che per ogni enigma da risolvere inizia con consigli vaghi fino a fornire al giocatore la vera e propria risoluzione.

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Un restyling grafico riuscito a metà
Per attrarre non solo i fan di vent’anni fa ma anche i giocatori più giovani, si è poi provveduto a un completo restyling grafico e sonoro. Nel primo caso nulla da ridire sul lavoro svolto a livello di sfondi, cut-scene disegnate e fedeltà alle ambientazioni originali. Quando però i personaggi in 3D si muovono negli ambienti, cadono un po’ le braccia e anche i loro modelli poligonali lasciano piuttosto a desiderare. Gli stessi volti negli intermezzi di dialogo passano dal discreto al mediocre come espressività e realismo, anche se nel complesso si nota qualche timido miglioramento rispetto a quanto visto in Moebius. Sul versante audio le musiche originali di Robert Holmes vengono riproposte piuttosto fedelmente, mentre qualche nuovo passaggio realizzato per l’occasione suona fin troppo allegro e spensierato per il tipo di gioco. Purtroppo il doppiaggio originale della versione in CD-ROM, dove spiccava il superbo Tim Curry a impersonare Gabriel, ha lasciato il posto a nuove voci diligenti, curate ma anche un po’ troppo scolastiche e senza tanto pathos.

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Amarcord vincente
Se insomma il versante “remake” ci ha convinti solo in parte, sul gioco in sé non si può dire davvero nulla. Anche a 21 anni di distanza Gabriel Knight: Sins of the Fathers rimane un esempio ideale di come si dovrebbe scrivere un’avventura grafica. La Jensen dà il meglio di sé nell’amalgamare un plot in cui si rincorrono misteriosi omicidi all’ombra del voodoo, un protagonista brillante, ”donnaiolo” e spiritoso, una New Orleans di rara bellezza (la Jensen fu molto ispirata da Angel Heart – Ascensore per l’inferno), dialoghi scritti con gusto e approfondimenti storico-culturali ormai impossibili da ritrovare nelle avventure odierne. E che dire dei personaggi? Ognuno ha qualcosa da dire e nessuno si limita a fare le vesti di macchietta, tanto che alla fine dell’avventura spiace quasi doversi allontanare da Grace, Mosely, Malia e Dr. John. Ottimi anche gli enigmi, molti basati sui dialoghi, altri sulle giuste tempistiche e altri ancora sulle classiche combinazioni di oggetti, sempre logiche e mai astruse o fuori contesto. Un classico nel 1993 e un classico oggi ed è proprio questa freschezza dopo oltre vent’anni a testimoniare il valore del gioco. Compratelo anche se lo avevate già finito e amato quando avevate qualche anno di meno. Un po’ di amarcord fa sempre bene, soprattutto in questi tempi piuttosto bui per noi amanti del punta e clicca.

Fonte:Spaziogames

 
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